L’idea
Sono trascorsi circa 4 anni da quando ho sognato di mettere le ruote sul Salar de Uyuni. Questo sogno e l’irrefrenabile voglia di avventura mi hanno messo sulla bicicletta con destinazione Olanda, Islanda e infine Colorado. Sono stati tre viaggi bellissimi e diversi tra loro. Il primo mi ha insegnato le basi del cicloturismo, il secondo come uscire vivo dalle situazioni difficili ed il terzo cosa significa pedalare a 3700m di altitudine. Poi è arrivata la Bolivia!
Non esiste un solo metodo per affrontare un viaggio: la Bolivia non è certo uguale all’Olanda così come l’Olanda non è uguale all’Islanda. Mi sono dovuto adeguare ad un pasto da 1,5$ circondato da cani randagi, alla biancheria monouso degli affittacamere, alla mancanza praticamente ovunque di carta igienica e ho fatto la doccia con una resistenza elettrica da 5kW posizionata sul soffione della doccia per scaldare l’acqua.
Bolivia povera
“La Bolivia è povera”, mi era stato detto. Ed è vero. Forse potrebbe essere paragonata all’Italia di 70 anni fà ma con una differenza: lo smartphone! Mi è capitato di vedere alcune situazioni (soprattutto in zone rurali) dove pastori e contadini controllavano il pascolo con in mano il cellulare (chissà se era un Android o un IPhone!?!?).
Questo povero paese, in fase di sviluppo, non è immune al consumismo. Si trova facilmente spazzatura ammucchiata lungo la strada che da La Paz conduce a Oruro. Se da una parte le plastiche entrano e vengono consumate dall’altra nessuno sa come raccoglierle e smaltirle.
I cumuli di spazzatura sono le aree in cui si trovano facilmente i cani randagi. Possono essere solitari o in branchi. I primi giorni di viaggio riecheggiavano in me le raccomandazioni del dottore: “Mi raccomando fai anche il vaccino contro la rabbia perché non esiste la cura!”. Non l’ho fatto per mancanza di tempo e fortunatamente mi è andata bene ma sono state diverse le situazioni da cui sono uscito con il culo stretto dalla paura.
Mi sono reso conto che il vero pericolo erano i cani di proprietà, quelli che avevano qualcosa da difendere. Lì vedevo partire dai recinti con le orecchie abbassate e con un bel latrato. A volte tentavo la fuga (in pianura o discesa) mentre altre volte, non avendo via di uscita, giocavo la carta dell’indifferenza. In un modo o nell’altro sono sopravvissuto.
La Paz
La Paz è stata la mia prima città sud americana. Non ne conosco altre ma penso che possa entrare a pieno titolo tra le città tipiche del Sud America: caos, baracche, salite e tanta ma tanta gente per strada. Rimanendo nel centro città non ho visto posti osceni, estremamente poveri o dove il pericolo è sempre dietro l’angolo. Mi sono sempre sentito al sicuro. Questa è una città che non ha particolari monumenti ma per un paio di giorni ho trovato sempre qualcosa da fare e da vedere, quindi la consiglierei. Il centro è molto simile a una qualsiasi città europea. Terminata la fase turistica e bevuto un buon tè con foglie di coca sono partito per il wild!
Quando esci da La Paz con direzione Oruro passi dai 3700m ai 4050m di altitudine. Questo dislivello l’ho superato facilmente dentro un taxi (QUI il racconto) che mi ha portato ai confini della città dove il traffico era meno intenso e dove non rischiavo di morire dopo 5 minuti.
L’altitudine e l’umidità
Sistemate le borse sulla bici il primo pensiero è andato alla MANCANZA DI OSSIGENO. Mi sono detto: “Andri, parti piano, tranquillo, non fare sforzi e vedrai che tutto andrà bene. Sopravviverai”.
Immagino che per un ciclista allenato, acclimatato e con Diamox al seguito, il problema dell’ossigeno è veramente marginale. Non voglio dire che il problema non c’è perché ognuno di noi reagisce in modo diverso ma, detto da uno che in funivia spesso soffre il cambio di altitudine, questo tipo di viaggio offre la possibilità di acclimatarsi veramente molto bene e quindi le possibilità di stare male sono veramente basse. Forse è più pericoloso passare dai 3700 ai 4300 dentro una jeep che in pochissimo tempo copre questi dislivelli.
Superata la fase in cui si spera che tutto sia a posto e che non ci siano problemi importanti (meccanici, fisici e pure psichici), ho preso confidenza e non ho più pensato a nulla.
Ho trovato comunque il modo di trastullarmi con gli effetti dell’altitudine ovvero occhi arrossati e naso secco. Se per il primo problema c’era poco da fare, se non monitorarlo e mangiare Diamox come fossero caramelle, per il secondo ho avuto il mio bel da fare…
Il clima sull’altopiano andino non ha umidità e ne consegue che le caccole, che solitamente sono umide, diventano secche e dure in pochissimo tempo. Ne consegue che per respirare bene bisogna soffiare frequentemente il naso. Non potendo fermarmi continuamente ecco la tecnica mentre pedalavo: tenendo chiuso uno dei 2 buchi del naso e soffiando con l’altro, sparavo dei proiettili belli corposi, duri e molto spesso insanguinati. L’apice l’ho raggiunto una sera in tenda quando, in preda ad un mezzo cagotto (causa freddo), ho staccato pure una di queste stalattiti dal naso (sto enfatizzando) con conseguente copiosa uscita di sangue. Mi sono ritrovato ad evacuare in piena notte, a 4000m e con un fazzoletto pieno di sangue infilato nel naso. Serata interessante.
Temperature invernali
Mano a mano che si procede nel viaggio le altezze aumentano considerevolmente passando da una fascia di 3700/4000m ad una fascia di 4200/4600m (con punta massima a 4900m). In Bolivia ad Agosto è inverno e a quelle quote si raggiungono facilmente i -10°C. Così mi sono dotato di sacco a pelo pesante, almeno 5 strati di maglie e 3 paia di calzini. Essendo il mio sacco abbastanza economico per la categoria ho dovuto usare tutti gli strati a mia disposizione. Non ho avuto freddo.
Il freddo può creare altri problemi oltre al cagotto ma in questo caso mi sono fatto trovare preparato: borracce in alluminio sempre scariche la sera, acqua in bottiglia ben riposta nelle borse, abiti da indossare di primissima mattina e attrezzatura elettronica tutta dentro al sacco a pelo. Mi è rimasto fuori un paio di volte lo smartphone e, seppur in modalità super-risparmio-energetico, l’ho ritrovato con un bel -30% di carica rispetto alla sera precedente. Batteria da buttare.
Immancabile la tenda con esposizione a Est. Il primo minuto di sole mattutino deve essere il VOSTRO!!! Ricordo che sull’Isla Incahuasi c’erano altri cicloviaggiatori e alla mattina siamo usciti tutti dalle tende come se fossimo in City of Angels (vecchio film dove gli angeli si mostravano al sole).
Eccezion fatta per il freddo notturno devo ammettere che durante il giorno il clima è perfetto per pedalare. A volte si poteva azzardare anche un abbigliamento estivo. La combinazione del sole (decisamente abbronzante) e la fatica boia per superare buche e sabbia lungo il percorso, produce un non trascurabile aumento della temperatura corporea. Non ho sentito il bisogno di un clima più mite.
L’abbigliamento
Mi sono portato:
- tre paia di calzini;
- un pantalone lungo sintetico;
- tre mutande;
- una manica lunga in sintetico;
- un pile leggero;
- uno pantaloncino corto;
- un pile pesante;
- un paio di t-shirt;
- una maglia termica pesante;
- due shorts sintetici con fondello;
- un paio di guanti da ciclismo leggeri (non servono invernali);
- una giacca antipioggia / antivento;
- occhiali da sole.
Ho usato tutto (anche contemporaneamente di notte).
Ho acquistato, ma era già messo in preventivo, un classico sombrero boliviano. Oddio, non proprio classico ma bensì quello super-ultra colorato tipico per il turista. Ma cosa volete pretendere da uno che in Islanda girava con una collana Hawaiana!?! Mi sono detto: “se devo comprarmi il sombrero che trovo anche da noi in Italia, che viaggio è?!!? Così me lo sono preso colorato e l’ho indossato con fierezza, tanto chi cazzo mi diceva niente nel deserto!?
Il sombrero è un’arma letale contro il sole. E’ tra le prime cose da utilizzare, ancor prima della crema solare. Il mio assetto da viaggio prevedeva, oltre al sombrero, un collare (o bandana) da tenere come protezione di bocca e naso. La sabbia, la polvere e il vento (che taglia le labbra!) li fermate con il collare non certo con il burrocacao (che comunque va utilizzato). Infine, ma questa è una mia personalissima idea, quando espirate tenendo il collare sopra bocca e naso, dovreste produrre vapore acqueo con conseguente beneficio per il vostro naso (vedasi clima secco e caccole).
Le strade
Inutile descrivere le strade asfaltate. Sono come le nostre e, in alcuni casi, anche migliori.
Dirigendoci nella parte più remota del nostro viaggio le cose si complicano. Nei casi migliori possiamo transitare su vie di comunicazione con fondo compatto e qualche sassolino quà e là; insomma, le nostre strade bianche tanto per intenderci. Ogni tanto può far capolino qualche buchetta ma ancora ci troviamo nel livello Light.
Il livello successivo sono le strade bianche (o sterrate) con le washboard ovvero le gobbette ravvicinate create perlopiù dalle sospensioni delle jeep. Qui siamo già ad un livello Medium e solo i più pazienti riusciranno a superarlo. Il vostro sedere non vi vorrà più bene.
Quando inizi a pensare che le strade non sono proprio un granché, arriva il peggio: alcune di esse transitano dove c’è solo sabbia. Non è raro spingere la bici in pianura e non è remota la possibilità di spingerla anche in discesa. In salita neanche a parlarne, qui siamo a livello Hard.
Si potrebbe pensare che le sfighe siano finite ma il livello Hard può facilmente elevarsi a livello Hard-Extreme se le washboard si combinano alla sabbia, durante una giornata ventosa ed a quote elevate. Purtroppo, è uno scenario molto frequente. In queste situazioni oltre all’allenamento fisico è molto importante la stabilità mentale: siete capaci di spingere la bici da 30kg per 4 ore di fila contro vento, poco ossigeno, in salita e con sabbia profonda senza perdere la testa?!
Argomento strade terminato? Non proprio, bisogna considerarne il numero! In alcuni casi possiamo incappare in una miriade di tracce che sono il risultato della vena artistica dei fuoristrada. A volte, pedalando distrattamente, sono finito per perdere la traccia principale (o quella migliore) e a ritrovarmi tra la sabbia e le buche della parallela non più utilizzata. Ebbene si, molte volte a fianco della strada ‘buona’ c’è quella ‘non buona’ che nemmeno i fuoristrada utilizzano più. Le strade affiancate possono essere 2 ma possono arrivare, caso ecclatante, anche a 12 e ogni volta è come scegliere una slot-machine: devi trovare quella che paga!!!
Ricordo un episodio in cui stavo spingendo la bici da 1 ora e a una quarantina di metri da me vidi passare un fuoristrada. Poi una secondo. E infine una terzo. “Cazzo”, dissi, “fammi un pò andare a controllare!” Trovai una bella stradina (quasi) compatta e lasciai immediatamente il mare di sabbia che mi stava lentamente uccidendo. Da quell’esperienza posso assolutamente affermare che, in alcune situazioni, non è assolutamente sbagliato mollare la bici e verificare lo stato delle altre strade.
L’ossigeno
Poco sopra ho parlato dell’altitudine e dei pochi sintomi che ho riscontrato. Secondo me, quando ci si è acclimatati, queste quote non sono certo paragonabili a quelle Himalayane. Quando le informazioni sulla ‘mancanza di ossigeno’ provengono da persone che sparano racconti di ogni fantasia probabilmente sono turisti che enfatizzano o hanno affrontano il viaggio senza la dovuta organizzazione. Sono arrivato a 4900m senza particolari problemi.
Il pericolo sono i cambi di ritmo. Quando ti trovi davanti a qualche metro di sabbia e lo vuoi superare che fai? Acceleri e aumenti lo sforzo. Stessa cosa con un tratto smosso pieno di sassi e anche con uno strappo in salita. Sono tutte situazioni in cui le gambe ed anche il cervello sono pronti ad aumentare il ritmo per superare l’ostacolo. Purtroppo i vostri polmoni non vi seguiranno! Avrete un’autonomia di qualche metro ma se esagerate potreste facilmente trovarvi in grave difficoltà cercando ogni molecola di ossigeno nelle vostre vicinanze. Bisogna ricordarsi che il corpo è abituato ad un certo ritmo e quello deve rimanere. Se esagerate, non respirate più, fidatevi!
I fuoristrada
Forse il pericolo maggiore. Alcuni autisti sono rispettosi verso il ciclista ma sono la minoranza. La maggior parte guidano a folle velocità ed incrociare una’auto sulla sabbia non è certo il massimo. L’unico consiglio che posso dare è quello di pregare e ogni tanto mandare affanculo qualcuno.
Va detto che molte parti dell’itinerario sono ciclabili grazie al passaggio degli automezzi ma in alcuni casi è l’esatto contrario. Il fuoristrada lo si ama e lo si odia allo stesso tempo.
Se vi capita qualcosa di sgradevole saranno sicuramente i primi a soccorrervi quindi non esagerate con le imprecazioni.
Il sale
Non va assolutamente sottovalutato. Questo elemento naturale, presente in gran quantità sul Salar de Uyuni, è potenzialmente pericoloso per voi e per la vostra attrezzatura. Copertoni, ruote, telaio e molte altre cose saranno aggredite dal sale. Una volta superato il Salar la priorità è quella di pulire tutto.
Partire con il piede giusto fin da subito è molto importante, anzi, fondamentale. Seguendo la traccia, ovvero la via di transito principale dei fuoristrada, il fondo sarà praticamente duro e levigato. Ne consegue che la quantità di sale imbarcato sarà davvero irrisoria.
Se al contrario si percorrono vie più creative, anticipando ad esempio l’ingresso al Salar, è molto probabile trovarsi in zone più acquitrinose dove il sale zampillerà come se fosse fango. Io l’ho fatto e ho faticato non poco per ripulire la bici e gli abiti. Probabilmente le mie scarpe, già messe male, hanno avuto il colpo di grazia proprio lì.
Se si vuole per forza dormire sul sale bisogna ricordare quanto scritto qui sopra e prendere i seguenti accorgimenti:
- prima di entrare sul Salar, se non si dispone di un martello bello pesante, munirsi di una pietra per i picchetti della tenda; il sale è duro come il cemento!
- installare il campo lontano dalle direttrici principali dei fuoristrada; di notte non dovrebbero transitare ma se fosse, la cosa potrebbe essere molto pericolosa.
Conclusioni
QUI la guida del mio viaggio. Tutto quello che ho scritto non è il vangelo ma bensì il mio punto di vista in base alle esperienze che ho vissuto.
Quest’area di pianeta merita la vostra visita!